Tutorial

La “slow photography” in digitale

Il termine “fotografia slow” viene spesso associato alla fotografia analogica. Il film per sua natura (costo, numero limitato di foto per rullo, tempi di trattamento) richiede di procedere in modo calmo e meditato, valutando bene la composizione e l’esposizione di ciascuna immagine. Questo è a maggior ragione vero al crescere del formato: se con il 35mm si può operare in modo più disinvolto, con il medio e, ancor più, con il grande formato si entra in una dimensione temporale completamente diversa, in cui l’osservazione dell’immagine sul vetro smerigliato della camera apre ad un’esperienza del tutto nuova in cui si ritrova il piacere di dedicare più tempo a tutte le operazioni preliminari allo scatto.

Nella fotografia digitale, al contrario, ogni foto è virtualmente a costo zero. Una SD card può contenere fino ad alcune migliaia di immagini e tutte immediatamente fruibili. In determinate situazioni (sport, eventi, foto-giornalismo) questo è un enorme vantaggio, ma in altre (paesaggio, still-life, architettura) rischia di ridurre l’attenzione verso la composizione e l’esposizione inducendo a catturare molte più immagini del necessario, quasi a voler affidare al caso la riuscita di uno scatto piuttosto che ad una scelta consapevole.

È tuttavia del tutto possibile riportare ad una dimensione calma e meditata anche la fotografia digitale, almeno in quei generi fotografici in cui si è di fronte ad un soggetto relativamente statico. Difficilmente si potrà replicare l’esperienza di fotografare su film a grande formato, ma ci si potrà avvicinare a quell’attitudine mentale che è alla base della fotografia slow e che prescinde da tecnica e attrezzatura.

Per questo motivo elenco di seguito alcuni semplici consigli che chiunque sia abituato a fotografare in digitale potrà provare a mettere in pratica per avvicinarsi al mondo della fotografia slow. Non si tratta assolutamente di regole perentorie, sono solo dei suggerimenti che si potrà decidere di seguire in tutto o in parte, a seconda delle circostanze o del mood del momento. Non va neanche inteso come un tutorial completo, in quanto alcuni punti andrebbero estesi e approfonditi . Lo scopo di questo articolo è solo quello di trasmettere l’idea che c’è un altro modo di fotografare in digitale. Buona lettura!

Sony A7II, 24mm, on tripod – © Maurizio Agelli, 2023

1) non avere fretta

Dedica il tempo che serve alla composizione dell’immagine. Se stai fotografando un paesaggio o uno still-life disporrai in generale di abbastanza tempo per studiare l’inquadratura e valutare diversi punti di ripresa. Il soggetto non si sposta, non ha quindi molto senso scattare una raffica di foto molto simili tra loro quando hai la possibilità di comporre con calma la tua immagine (sii comunque pronto ad agire rapidamente: la luce può cambiare all’improvviso, ad esempio per un movimento delle nuvole, rivelando per pochi istanti uno scenario del tutto nuovo).

Ricordati che è la distanza dal soggetto in primo piano che ne determina la prospettiva rispetto al resto della scena. Lo zoom non è stato inventato per i pigri che non vogliono fare qualche passo per posizionarsi alla giusta distanza dal soggetto. Se le condizioni lo consentono avvicinati o allontanati in funzione della prospettiva che vuoi ottenere e solo a quel punto scegli la focale di ripresa.

2) usa una fotocamera

Consigliare di usare una fotocamera non è un’affermazione scontata. Viviamo in un’era in cui oltre il 90% delle foto vengono fatte su smartphone1 e in cui le persone che utilizzano una fotocamera stanno diventando una specie sempre più rara, oramai circoscritta ai professionisti e ai veri appassionati.

Lo smartphone, pur essendo un oggetto tecnologicamente molto avanzato, non è certamente orientato alla fotografia slow. Mira infatti a velocizzare il più possibile le operazioni di creazione e condivisione delle foto, in ossequio al mainstream che considera le immagini come oggetti da consumare velocemente sui social in una continua ed effimera ricerca di like e di nuovi follower.

Non che sia impossibile adottare un approccio slow con uno smartphone, ma si tratta pur sempre di un dispositivo mirato a ridurre il più possibile l’intervento umano attraverso vari automatismi che operano sia al momento dello scatto che in fase di post-processing.

Una fotocamera, invece, ti darà la libertà di impostare in modo consapevole le diverse variabili che concorrono a creare la tua immagine. Scegliere la focale di ripresa, impostare il tempo di esposizione e il diaframma, decidere cosa mettere a fuoco e cosa no, non sono delle fastidiose incombenze ma un insieme di decisioni di base che fanno parte dell’essenza stessa della fotografia fin dalle sue origini.

Per cominciare a sperimentare la “slow photography” in digitale, se non hai già una fotocamera scegline una che ti consenta di impostare manualmente l’esposizione. Meglio ancora se ha la possibilità di cambiare l’obiettivo. Una mirrorless o una reflex, anche di seconda mano, faranno al caso tuo. Se hai la possibilità di spendere qualcosa in più, orientati su una full-frame entry-level piuttosto che su una APS-C di fascia alta: la dimensione del sensore conta più del numero di megapixel o della quantità di automatismi!

3) passa al RAW

Nell’era della fotografia analogica le operazioni di post-produzione sono sempre state parte del processo di creazione di un’immagine. Riuscire a riprodurre su una stampa fotografica le tonalità (e i colori) di un paesaggio in modo percettivamente efficace è sempre stata una sfida complessa che richiedeva spesso lunghe sessioni in camera oscura.

Tale sfida si ripresenta inalterata nell’era digitale. A prescindere dalla tecnologia impiegata, si tratta infatti di trasformare la visione di una scena reale in un oggetto completamente diverso e percettivamente limitato (stampa fotografica o immagine su display) ma che sia comunque in grado di suscitare sensazioni esteticamente armoniose.

È essenzialmente un problema di interpretazione, basato pertanto su decisioni umane. In tale processo la tecnologia può ampliare le possibilità di interpretazione, ma anche limitarle. Vediamo perché.

La maggior parte delle fotocamere digitali consente di salvare le immagini in due formati: JPEG oppure RAW. Mentre le immagini JPEG sono pronte per essere condivise e visualizzate, quelle in formato RAW necessitano di un ulteriore step in post-produzione in cui devono essere “sviluppate” attraverso un software per poter essere poi convertite in un formato direttamente fruibile, come appunto il JPEG.

Il vantaggio delle immagini RAW è che contengono tutte le informazioni catturate dal sensore. Questo amplia enormemente le possibilità di manipolazione e interpretazione in fase di post-produzione. La conversione in JPEG rimuove dall’immagine originaria tutte quelle informazioni non direttamente percepibili rendendo più problematiche eventuali successive operazioni di editing. Ad esempio, se tu volessi rischiarare le ombre di un’immagine JPEG finiresti per ridurne la gradazione tonale, oltre ad introdurre inevitabilmente del rumore.

Le immagini catturate dal sensore devono essere prima o poi convertite in JPEG se le si vuole utilizzare. Hai pertanto due opzioni: (a) se hai fretta fai fare tale conversione direttamente attraverso il software della camera, magari scegliendo tra i possibili preset resi disponibili dal menù, e salva l’immagine in JPEG; (b) se non hai fretta salva la tua immagine in RAW in modo da poterla editare con calma in post-produzione prima di esportarla in JPEG. L’opzione (b) è quella che dovresti scegliere: richiede più tempo, ma ti consente di intervenire sull’immagine con strumenti molto più versatili e potenti. Senza considerare il fatto che potrai riprocessare l’immagine qualora appaiano sul mercato nuovi software o nuove versioni di quelli che stai utilizzando. Ricordati che la fretta va messa da parte nella fotografia “slow”.

Ci sarebbe in realtà una terza opzione, che è quella di salvare sia il RAW che il JPEG. Presenta due inconvenienti: ritrovarsi a dover gestire due file per ciascuna immagine e dover impostare ulteriori parametri prima dello scatto, come il bilanciamento del bianco, la dinamica dell’immagine e vari possibili preset. Tali parametri non hanno alcuna influenza sul file RAW, ma servono solo alla generazione del JPEG da parte del software della camera. Se proprio hai la necessità di avere un’immagine immediatamente fruibile è una scelta comunque accettabile. L’importante è avere il RAW.

4) dimentica il Program Mode

Un’esposizione corretta è il presupposto essenziale per produrre una buona immagine. Esporre correttamente vuol dire fare arrivare al sensore una quantità di luce tale da riprodurre correttamente la gamma tonale della scena ripresa. Tre sono le variabili che determinano l’esposizione: la sensibilità (ISO) del sensore, l’apertura dell’obiettivo e il tempo di esposizione. Ciascuna di tali variabili ha però degli effetti collaterali che è bene che impari a conoscere.

Supponiamo che stai fotografando un paesaggio e l’esposimetro ti segnala che l’esposizione in quel momento impostata non è sufficiente. Per aumentare l’esposizione potresti ad esempio impostare una sensibilità ISO più elevata, ma sappi che in questo modo introdurrai del rumore peggiorando la qualità dell’immagine finale. Oppure potresti aumentare l’apertura del diaframma, a scapito però della profondità di campo (ossia del range di distanze alle quali i soggetti appariranno a fuoco). Oppure potresti aumentare il tempo di esposizione, con il rischio però di ottenere una foto mossa. La scelta della sensibilità ISO, dell’apertura e del tempo di esposizione deve tener conto di tali effetti. È un processo decisionale che con il tempo diventa sempre più intuitivo e che contribuisce all’esperienza (e al piacere) di creazione di una foto.

Tutte le fotocamere digitali hanno la possibilità di automatizzare in varia misura la scelta di queste variabili. Il cosiddetto “Program Mode”, ad esempio, è una modalità di esposizione automatica che imposta automaticamente sia il tempo di esposizione che l’apertura sulla base della misura esposimetrica e della focale dell’obiettivo. Molte fotocamere consentono di impostare automaticamente anche gli ISO, sgravando completamente il fotografo da qualsiasi decisione. Sebbene in determinati casi tali automatismi possano rivelarsi utili, se vuoi avvicinarti alla fotografia slow dimentica che esistono e utilizza la modalità di esposizione manuale, decidendo di volta in volta su quali variabili intervenire.

Se proprio ami le comodità puoi usare la modalità di esposizione a priorità di apertura in cui tu scegli l’apertura dell’obiettivo e l’automatismo imposta il tempo di esposizione sulla base della luce misurata dall’esposimetro. È una forma di esposizione semi-automatica che può essere accettabile in quanto richiede comunque di operare delle scelte consapevoli.

5) impara a usare l’istogramma

L’istogramma è un utilissimo strumento grafico che può aiutarti non solo a verificare la correttezza dell’esposizione, ma anche ad ottimizzare la resa della scala tonale.

L’istogramma è disponibile su tutte le fotocamere che consentono di visualizzare in tempo reale su un display la scena ripresa dall’obiettivo, ossia le mirrorless e le compatte. Le reflex, offrendo una visione puramente ottica, non hanno la possibilità di visualizzare l’istogramma attraverso il mirino. Solo quelle di fascia più alta sono in grado di mostrarlo quando si opera in modalità live-view, ossia con lo specchio sollevato e visualizzando attraverso il display la scena inquadrata (al pari di una mirrorless).

L’istogramma mostra la distribuzione tonale della scena ripresa. Leggerlo non è complicato. La prima cosa che devi sapere è che si riferisce all’immagine visualizzata sul display della camera. Tale immagine è composta da tanti pixel la cui luminosità può essere espressa mediante un valore intero che può variare tra 0 (nero) e 255 (bianco). L’istogramma mostra quante volte compaiono nell’immagine i pixel corrispondenti a ciascuno dei 256 valori. La parte sinistra del grafico si riferisce alle parti più scure (ombre), quella destra alle parti più chiare (alte luci).

Se l’esposizione è stata impostata correttamente e la gamma tonale della scena ripresa non è eccessivamente ampia l’istogramma dovrebbe essere compreso tra i due estremi della scala, senza mai toccarli (come in figura). Questo è quello che accade nella stragrande maggioranza dei casi.

In situazioni di alto contrasto può tuttavia accadere che l’istogramma si appoggi al limite destro (o sinistro) della scala, con il conseguente rischio di perdere completamente i dettagli nelle parti più chiare (o più scure) dell’immagine. In questo caso si dovrà modificare l’esposizione in modo da riportare l’istogramma entro i due estremi della scala oppure, se questo non fosse possibile, almeno da evitare di bruciare le alte luci, anche a costo di perdere dei dettagli nelle ombre.

Sarebbe inoltre buona regola, anche in tutti quei casi in cui l’istogramma è compreso tra i due estremi, sovraesporre leggermente in modo da spostarlo più a destra possibile, fino quasi al limite destro della scala. In questo modo si avranno a disposizione più valori per codificare le varie tonalità con conseguente miglioramento della gradazione tonale dell’immagine. La sovraesposizione potrà poi essere corretta in fase di post-produzione.

L’utilizzo dell’istogramma è in realtà più complesso e non può ridursi a questi semplici consigli, l’importante è tuttavia essere consapevoli delle sue potenzialità e della possibilità di utilizzarle.

6) ridai nuova vita ai vecchi obiettivi

Forse non tutti sanno che è possibile riutilizzare su molte fotocamere digitali gli obiettivi dell’era analogica. Si tratta di ottiche spesso di buona qualità, costruite per durare e che possono essere trovate ad un prezzo interessante sul mercato dell’usato.

Nella stragrande maggioranza dei casi si dovrà rinunciare alla messa a fuoco automatica e a qualche automatismo di esposizione, ma questo nella fotografia slow si traduce in un vantaggio piuttosto che in un difetto, in quanto obbliga a procedere manualmente.

Le mirrorless hanno il grande vantaggio di poter montare praticamente tutti gli obiettivi un tempo utilizzati sulle reflex analogiche. Questo è possibile grazie al tiraggio ridotto (distanza della flangia dell’obiettivo dal sensore) e all’ampia disponibilità di adattatori. Si tratta di adattatori totalmente privi di lenti, che hanno il solo scopo di riportare il tiraggio dell’obiettivo a quello per il quale erano stati originariamente progettati. Con tale accorgimento sarà ancora possibile misurare l’esposizione attraverso la fotocamera e operare, volendo, in modalità manuale o semi-automatica a priorità dei diaframmi. Per la messa a fuoco si dovrà procedere manualmente, preferibilmente a tutta apertura e utilizzando gli accorgimenti messi a disposizione dal particolare modello di mirrorless, come ad esempio il focus peaking e il focus magnifier.

Per quanto riguarda le reflex solo Nikon e Pentax hanno mantenuto una certa compatibilità con i rispettivi obiettivi vintage, da valutare caso per caso. Ad esempio sulle Nikon APS-C di fascia più economica, nelle quali non viene trasmessa al corpo l’informazione dell’apertura effettivamente impostata, la misurazione della luce dovrà essere fatta mediante un esposimetro esterno. Nelle Nikon di fascia più alta è invece possibile utilizzare la misurazione fatta dalla camera e operare in modalità manuale o automatica a priorità dei diaframmi. Va prestata inoltre una particolare attenzione nell’utilizzo degli obiettivi Nikon precedenti la serie AI che, salvo particolari eccezioni non è compatibile con le reflex digitali. In aso di dubbio è consigliabile consultare la 2 di Ken Rockwell per verificare l’effettiva compatibilità tra obiettivi Nikon e corpi macchina.

La messa a fuoco di un obiettivo vintage montato su una reflex può essere più difficoltosa rispetto a una mirrorless, essendo lo schermo di messa a fuoco delle reflex digitali privo di quegli accorgimenti (micro-prismi e telemetro a immagine spezzata) che facilitavano enormemente la messa a fuoco sulle reflex dell’era analogica. Il live-view può essere di grande aiuto in questi casi.

Per contro un vantaggio di molti obiettivi di un tempo è la presenza delle indicazioni della profondità di campo, utilissima per una messa a fuoco più accurata di scene con soggetti situati a diverse distanze.

7) quando puoi usa il treppiede

Il treppiede è spesso considerato un ingombrante e pesante accessorio. Sebbene sia indispensabile nelle foto notturne e nelle lunghe esposizioni, in molte altre situazioni se ne fa volentieri a meno, grazie anche ai sistemi di stabilizzazione presenti in molte fotocamere digitali che riducono notevolmente il rischio di produrre foto mosse.

Si dovrebbe invece rivalutare l’uso del treppiede, almeno in tutti quei casi in cui si dispone di abbastanza tempo, come nel caso della fotografia di paesaggio, dello still-life e dell’architettura. Grazie al treppiede è possibile creare la composizione dell’immagine per passi successivi. Si imposta una prima composizione, per poi distogliere gli occhi dal display per osservare la scena reale, magari facendo due passi per guardarsi attorno. Si riosserva la scena inquadrata e se occorre la si modifica, provando un nuovo punto di ripresa o una nuova angolazione. Procedendo per aggiustamenti progressivi, senza fretta, si crea infine la composizione voluta.

Il treppiede consente infine di dedicarsi alle varie operazioni manuali necessarie a dare un’esposizione ottimale e a regolare accuratamente la messa fuoco, senza modificare in alcun modo la composizione dell’immagine.

Sempre grazie al treppiede, utilizzando un comando a distanza o lo stesso autoscatto, è possibile ridurre a zero i movimenti trasmessi alla camera dalla forza esercitata sul pulsante di scatto. Analogamente, le vibrazioni causate dal sollevamento dello specchio delle reflex possono essere eliminate sollevando preliminarmente lo specchio alcuni secondi prima dello scatto (caratteristica, questa, presente nelle reflex digitali di fascia medio-alta).

Sony A7II, 24mm, on tripod – © Maurizio Agelli, 2023

8) comunque vada, goditi l’esperienza

La fotografia slow non si può ridurre solo a tecnica ed attrezzature. È innanzitutto una predisposizione dell’animo, una voglia di esplorare, osservare e conoscere prima ancora che di fotografare. Goditi quindi l’intera avventura, da quando prepari lo zaino la sera prima al piacere di alzarti presto per arrivare sul posto quando le condizioni di luce sono più favorevoli. Non avere fretta di fotografare, ma trai beneficio dall’ambiente che ti circonda.

Se sei in un bosco ritrova il silenzio e la solitudine a cui forse non sei più abituato, gusta il piacere di camminare circondato dalla solennità degli alberi, ascolta lo scorrere dei ruscelli, impara ad apprezzare un paesaggio che potrebbe essere quello di secoli fa. Se sei in riva al mare, magari in pieno inverno, trai piacere dal rumore delle onde e dal vento che ti ostacola nel camminare, respira l’aria marina, apprezza le forme delle rocce, le ondulazioni della sabbia, i disegni della schiuma sulla battigia. Posiziona il treppiede e goditi ogni passo del processo di creazione dell’immagine, dalla composizione della scena alla messa a fuoco, dalla scelta delle variabili di esposizione allo scatto.

Non sempre le cose poi vanno come vorresti. Potrebbe capitarti di fare un bel po’ di strada solo per trovare delle condizioni di luce poco favorevoli. Ma anche in questo caso, ti resterà il piacere e l’esperienza di aver trascorso alcune ore nella natura imparando comunque qualcosa di nuovo.

  1. https://photutorial.com/photos-statistics/#smartphones-vs-cameras, Number of Photos (2022): Statistics, Facts, & Predictions[]
  2. https://www.kenrockwell.com/nikon/compatibility-lens.htm, Compatibility Chart[]